Occhio che questo e` tosto..
21/08
8.25pm
In questo momento in casa non c’e` la luce, scrivo sul taccuino sapendo bene che queste parole saranno lette tra un bel po’ di tempo. Il pranzo di oggi, in ogni caso, Anna insisteva affinche` lo consumassi a casa; quando le ho chiesto il motivo, ha detto che loro avevano solo avanzi e pensava non mi andassero. Erano buonissimi. In seguito Mi. mi chiede se mi va di vedere un mercato maasai (se mi va?), ma prima dobbiamo andare a prendere un suo amico che ci accompagnera` sulla montagna e che abita dove, sabato scorso, si era tenuta la cerimonia maasai. Solo che ci arriviamo col vain e non a piedi, per cui dobbiamo fare un giro abbastanza lungo che passa per un agglomerato di baracche (dove spiccava un cartello che dava le indicazioni per i Reali Consolati di Danimarca e Norvegia!) prima di finire nella jungla (nella jungla vera e propria, con tanto di banani selvatici, sottobosco tropicale, guadi da attraversare e crateri in mezzo al sentiero, poco piu` grande di una mulattiera) e poi tornare in campagna. A casa del suo amico [non ricordo il suo nome, d’ora in avanti lo chiamero` semplicemente Amico] stendiamo un programma molto sintetico del weekend e dei suoi costi, poi partiamo per il mercato, attraverso campi non coltivati/savana (non ho ancora capito quale sia la differenza). Il mercato e` colorito, colorato e profumato, con mucchi di spezie alti come bambini, tessuti esotici e capre dapperttutto. Ci infiliamo in una delle poche costruzioni in muratura (il mercato e` all’aperto) per mangiare del nyama choma [chi non sa cosa sia consulti le pagine precedenti], questa volta di capra, e scriviamo la lista della spesa. Il locale e` piccolo e vuoto, a parte un bancone con dietro alcune bottiglie, qualche tavolo e una tv che strillava i video di una cantautrice monotona e pessima ballerina, veramente allucinante. Pero` la carne era squisita. Torniamo in citta` per comprare il cibo e la benzina, e solo questa, dati i duecento e passa km che dobbiamo fare, mi fa spendere la stessa quantita` di danaro che ho utilizzato da quando sono in Tanzania. Quindi Mi. e Amico vanno alle rispettive case a preparare la propria roba e rimango a casa da solo. Solo che sono le sei e mezza, va via la luce e mi ritrovo al buio, affamato e un po’ inquieto, non mi piacciono i piani organizzati cosi` in fretta, ho paura che qualcosa vada storto. E anche tutti i soldi che mi aspetto di spendere (per la miseria, in Europa sarebbero piu` che giusti per un viaggio simile, anzi; pero` qui sono in Africa, e mi sono abituato a non spendere piu` di dieci-venti mila lire per volta). Percio`, con un sacco di cose da fare e poca voglia di farle, faccio quella che mi pareva piu` sensata. Aspetto, mi sdraio a letto e leggo tutta la Locandiera di Goldoni [divertente, si`, ma non mi ha entusiasmato troppo. Leggere il teatro non e` mai stata una delle mie passioni]. Ok, facciamo lo zaino, mangiamo qualcosa. Scriviamo queste parole.
Mmm, sono ancora inquieto.
Per non parlare del fatto che oggi e` esattamente a meta` tra l’Egitto, un mese fa, e le partenze, tra un mese. Mi sento a un punto di svolta.
P.s. per oggi niente postscripta
11.00pm
Ah, Insonnia, il piu` viscido soldato del generale malumore. Mi devo svegliare tra cinque ore, perche` mi tormenti anche qui?
P.s. magari voleva soltanto che scrivessi queste parole
P.p.s. magari invece e` la puzza di Europa che mi sento nella testa
24/08
11.40 am
Perche`, vi chiederete, non ho scritto niente in questi due giorni? Ma perche` sono stati due giorni veramente pieni. E cosa avrei fatto, di grazia? Detto alla spicciola, guidato e camminato. Piu` precisamente, mi chiedete? Be’, ci siamo persi nella savana e ho arrancato su un vulcano. Volete termini tecnici? Ok, abbiamo fatto un safari a Ngorongoro e ho scalato l’ Oldoinyo Lengai. Ma cominciamo dal principio.
Sabato mattina mi sveglio alle quattro e un quarto, faccio colazione, mi lavo e preparo le ultime cose. Mi. e Amico vengono a prendermi a casa e partiamo per Ngorongoro, una enorme caldera e uno dei piu` importanti parchi nazionali della Tanzania. Durante il viaggio Mi. non sapeva togliere gli abbaglianti e io non sapevo spiegargli come fare, ma ci ferma la polizia a un posto di blocco per problemi burocratici con uno dei permessi che avevamo attaccati al parabrezza, per cui se non lo toglievamo ci avrebbero dato la multa. (Io lo dico rapidamente, ma ci hanno impiegato venti minuti a capirsi). Tolto lo sticker, tolti gli abbaglianti, si riparte. Verso l’alba impattiamo contro una specie di colombo, e la botta mi fa rizzare i capelli sulla testa. Mh, agghiacciante. Piu` tardi, con la Rift Valley sull’orizzonte, iniziamo a vedere le prime giraffe, che placide attraversano la strada e ci guardano incuriosite, tra termitai enormi e numerosissimi nella pianura. Nell’ultimo paesino prima della Rift aggiungiamo gasolio, poiche` il vain succhia piu` di quanto ci aspettassimo, e iniziamo la salita, fiancheggiati ogni tanto da black monkey e babbuini. Raggiunta faticosamente la cima [faticosamente perche` la salita, come tutto il safari, e` stata fatta con una marcia piu` alta di quella richiesta dal motore, che a me personalmente fa venire la pelle d’oca. Ma ci ho fatto l’abitudine, non sapendo come chiedere perche` mettessero in quarta a venti all’ora..] ammiriamo un panorama meraviglioso, con il lago Manyara da una parte e la pianura africana dall’altra, per chilometri e chilometri.
8.45pm
Scusate, riprendo adesso, oggi ho dovuto interrompere di fretta. Allora, verso le otto e mezza, abbiamo raggiunto il gate del parco. A me chiedono cinquanta iu`seidollars, ai due Tanzaniani (non chiedono documenti o altro, basta la faccia) tremila lire a capoccia. E sfido chiunque a dire che e` meglio essere mzungu. Per di piu` mentre pagavamo entra un gruppo chiassoso e irritante, che vociava in quella lingua che tanto mi innervosisce quando sono all’estero. Usciamo dalla reception e passiamo nel centro visitatori, dove c’e` un modellino del parco, cosi` composto: una caldera collassata, dal diametro di non so quanti chilometri, e` la parte piu` ricca di animali e piu` appetibile per i turisti, tant’e` che il biglietto di ingresso chiede altri duecento verdoni; intorno al cratere c’e` la conservation area, ricca anche lei di animali, mentre la pianura circostante ne contiene di meno. L’area protetta raggiunge, a nord, l’altro confine della rift valley e una zona vulcanica, nostro obiettivo; ad ovest confina con la piana del Serengeti; ad est non c’era niente, credo; a sud, be’, c’eravamo noi. Il piano e` fare il mezzocerchio del cratere, senza entrarci, scendere dall’altro lato e attraversare la savana fino al vulcano. Salendo su un terreno tanto polveroso che le piante erano rosse a causa delle due dita di terriccio che portavano addosso ci ritroviamo su una nebbia terribilmente densa. Non si vede cosa ci sia oltre la strada. Guidando piano, che le strade non sarebbero comode nemmeno con il sole, vediamo cinque zebre che ci attraversano la strada (le vediamo solo perche` sono passate a un metro dal nostro veicolo), e raggiungiamo un villaggio maasai dove abitano degli amici di Amico. Scendiamo per trattare qualcuno che ci porti al vulcano. La nebbia, oltre che densa, e` gelida, mille spilli di ghiaccio che ti si infilano nella pelle mentre, come se nulla fosse, loro chiaccherano mezzo in Swahili e mezzo in Maa. Quindi con noi salgono due maasai (la storia dei vari passaggi e` un po’ complicata, cerchero` di semplificarla un pochino), che chiameremo Marco1 e maasai1. Durante tutto il giro del cratere, cioe` la zona piu` ricca di bestie, non vediamo assolutamente nulla. Raggiunta la zona della discesa le nuvole si aprono per un attimo, a lasciarci intravedere lo spettacolo della caldera. E, cento metri piu` sotto, una macchina da safari ribaltata su un lato –sempre ricordarsi che qualcosa puo` andare storto!. Comunque, scendendo un po’ delusi per aver perso gli animali, ci fermiamo a un altro villaggio maasai, dove scarichiamo maasai1 e prendiamo, invece, maasai2, che conosce la strada fino all’Oldoinyo Lengai [Non chiedetemi perche` ci fosse anche Marco1, che non l’ho capito]. Cosi`, si raggiunge la pianura. Ad un certo punto, dopo qualche giraffa e le prime antilopi di Thompson, abbandoniamo la “strada” per addentrarci nella savana vera e propria, dove ci sono solo delle tracce di pneumatici ad indicare la via. Talvolta abbastanza marcate, talvolta cosi` marcate da essere impercorribili, talvolta cosi` lievi da essere impercebibili, talvolta del tutto assenti. Ma e` avventuroso, con il vain che traballa allegro e con il motore che borbotta per le marcie. Si solleva il vento, che solleva la polvere: tempesta di sabbia. Peggio della nebbia, non si vedeva nemmeno fuori dal finestrino. E la polvere ci accompagnera` per tutto il viaggio. Ma parlarne cosi` non rende l’idea: immaginate di essere cosi` impolverati che, se vi sedete vicino ad un maasai, avete lo stesso colore; immaginate di vederci meglio senza occhiali che con gli occhiali; immaginate di sollevare sbuffi di simil-fumo ad ogni movimento che fate; immaginate di diventare biondi, da qualsiasi colore fossero i vostri capelli. Ecco, questa era la polvere che ci circondava. In mezzo al nulla, poi, il radiatore inizia a dare problemi e dobbiamo fermarci per ripararlo. Io passeggio li` intorno, tra le ossa numerose di chissa` quali bestie e gli arbusti ormai secchi. Ma il nostro destino non e` quello, evidentemente: possiamo ripartire. Lungo la strada (spesso vedevamo delle gazzelle di T., talvolta quelle di Grant, piu` grandi; a volte un paio di giraffe o una mandria di zebre [mandria?],degli struzzi o altri strani uccelli colorati. Oltre a qualche mucca, capra o asino maasai questi sono tutti gli animali che abbiamo visto, ma non importa) raccogliamo un autostoppista maasai che si stava facendo da due giorni la savana a piedi per tornare al suo villaggio, e probabilmente gliene abbiamo risparmiati altri due o tre. Bosco di acacie, savana, sabbia si alternavano senza una logica apparente. Caldo, polvere, vento, ossa di bestie. Ci perdiamo. Loro negano, ma non si chiedono informazioni se sai dove sei, no? attraversiamo un villaggio [ovviamente maasai, poiche`, anche se non l’ho ancora specificato, sono gli unici autorizzati a vivere nel parco] che guardano stupiti al musobianco. Dobbiamo essere davvero lontani dai soliti circuiti safaristici, mi sento come un esploratore dell’ottocento. A un certo punto ci troviamo in cima a una montagna, non so come; penso fosse la fine –o l’inizio- della rift valley. Scendiamo da un sentiero che avrei avuto timore a percorrere a piedi, con una vista mozzafiato sul mondo. O almeno cosi` mi sembrava. Cosi` attraversiamo questo deserto di rocce e polvere e nulla, pensando che stavo viaggiando dove la mia razza e` nata e che non mi importava niente di non aver visto leoni, rinoceronti, bufali, ippopotami ed elefanti perche` mi stavo divertendo lo stesso tantissimo. Finalmente arriviamo in vista del lago Natron e del nostro tanto agognato vulcano. Il vain arranca fino all’ultimo villaggio, tossendo come noi. Ormai e` il tramonto. Mi avevano detto che per scalare la montagna servivano altri 50 dollari, ma tutte le guide vogliono almeno il doppio. Marco1 quindi va a chiamare un suo vecchio compagno di scuola [vecchio per modo di dire, che aveva 25 anni] il quale si accontenta di ventimila lire. Il suo nome e` Marco2. Durante le trattative mi avvicina un ragazzo tutto maasai, dai capelli ai vestiti ai denti mancanti ai lobi allargati. Non parla nemmeno swahili, e Amico deve fare da traduttore maa-inglese. Dapprima cerca di vendermi una collanina di perline di plastica con un dente di cane (leone, ti giuro!) incastonato [ma non eravamo noi che gabbavamo gli altri popoli spacciando cose pacchiane per meraviglie?], poi, dopo una mia domanda, mi risponde che ha circa vent’anni, non sa in che anno sia nato. Ho sentito come una scossa elettrica mentre parlavo con quel ragazzo, non ho mai sentito cosi` forte la distanza tra due mondi. E c’e` gente che questa distanza la vuole spazzare via. Sia maledetta la cocacola, ho pensato!
Riunito il gruppetto [cioe` io, Mi., Am., Marco1 e 2, maasai2 e maasai3, cioe` un secondo autostoppista che abbiamo raccolto non ricordo dove] raggiungiamo una sorta di campeggio, dove devo faticare per convincerli che non ho bisogno di una stanza e posso dormire anche nella nostra tenda o nel vain. Marco1 collassa in tenda perche` ha una tosse che lo uccide. Maasai2 lo segue, il 3 sparisce. Marco2 va a prepararsi per la scalata, mentre io Mi. e Am. cuciniamo patatine fritte e pomodori per la cena e restiamo a parlare dell’urafiki center, della differenza tra bianchi e neri e cose cosi` fino alle 10.40 pm. La partenza e` prevista entro cinquanta minuti, vado a riposare.
P.s. scusate, e` passata un’ora e sono un po` stanchino. Continuero` a scrivere domani!
25/08
7.20 pm
Uff, mi sento in ritardo, ho un sacco di giorni da scrivere ancora. Continuiamo, su. Partiamo non troppo in ritardo, lasciando al campeggio Maasai2 e 3. Dopo una buona oretta di savana oscura raggiungiamo le falde del vulcano. La sua silho.. silohu.. si`, insomma, il suo profilo contro le stelle da` un senso di imponenza. Le stelle. Avevo gia` visto stellate mozzafiato prima di quel giorno, ma non ero mai stato cosi` infinitamente lontano da ogni forma di inquinamento luminoso, e sembrava che la luna fosse esplosa lasciando centinaia di migliaia di frammenti baluginanti. Per di piu` non c’e` nemmeno una costellazione “sensata”, a parte la gia` citata croce del sud, che pero` non conta; e questo serviva solo a rendere ancora piu` straniante la sensazione. Un po` mi mancava il grande carro, a dirla tutta. Comunque, mezzanotte e tre quarti, si comincia a camminare: io, Mi., Am. e Marco2 (1 resta nel vain, che la tosse gli impedisce quasi di vedere). Subito siamo accolti da un vento impetuoso. “e` sempre cosi`, e lo sara` per tutta la scalata” ci avvisa M2. Guardo in alto, quasi duemila metri di dislivello dal cratere, che nemmeno si riesce ad individuare. La prima mezzora si arranca sulla sabbia, prima di trovare la roccia solidificata. Solo che Oldoinyo Lengai non e` una montagna qualunque: non ci sono sentieri tracciati, e il percorso e` semplice da descrivere: Sali. E` un vulcano come quello che disegnano i bambini, perfettamente conico e scuro. Un’altra mezzora, il tempo per convincersi che si`, manca poco, e M2 ci dice che ora siamo alle pendici della salita vera e propria; ed io ho gia` il fiatone. Immaginate di avere una roccia da scalata, ed inclinatela un pochino. No, cosi` e` troppo, era piu` verticale, avanti, fate uno sforzo. Ecco, cosi` va bene. Ora ricopritela di una roccia friabile, nella quale il piede affonda e fatica a fare presa, e tutto attorno spargete abbondantemente ghiaia e sabbia che si infila dovunque, dalle scarpe ai vestiti al corpo. Bene, mettete la vostra costruzione mentale in una galleria del vento, e spegnete la luce. Buona camminata, nemmeno l’erba e le sterpaglie sono capaci di affrontarla. Ad un certo punto perdi il computo del tempo, ma, dicono, siete circa a meta` -della montagna, non della scalata; la parte piu` dura viene adesso, e manca ancora un bel po` di tempo. La gola e` secca, non sai come tenere la felpa (aperta, hai freddo; chiusa, hai caldo; mezza aperta, fa da vela e ti rallenta troppo), ti viene voglia di abbandonare. Mi., che e` una delle persone piu` forti –fisicamente e mentalmente- che abbia mai incontrato, cede e torna verso il vain (il giorno dopo mi dira` che durante la discesa si e` pure perduto, poverino!) ma io no, devo farcela, devo batterla questa maledetta montagna. Nella mia testa nel frattempo inizia a rimbombare un’improponibile canzone di un improponibile gruppo italiano. Il terreno peggiora, ora la sabbia e` piu` profonda e ci sprofondi, la roccia e` piu` infida e ti fa scivolare. Ogni passo indietreggi di una buona spanna, rischi di cadere, avanzi con le mani. Che ormai sono di ghiaccio, non le senti, cosi` come le orecchie ti rimbombano per il vento; ma non ti importa niente, riesci solo a chiederti perche` i maasai non hanno scelto di adorare una collina, e odi questo mledetto vulcano, ma sei certo che lo amerai quandro lo avrai scalato. Perche`, caro mio, ti scalero`, dovessi rimetterci un polmone o un braccio, non mi sono mai arreso e non mi farai arrendere certo tu. Scaccio la canzone e la sostituisco con Juliet and Romeo degli Emerson, Lake & Palmer. Il piede scivola, torni indietro di due o tre metri, con le ginocchia nella sabbia, e non hai proprio voglia di alzarti ma ti alzi e sfidi il vento. Ti senti come quando, sullo snowboard, ti trovavi fermo davanti a una zona piatta, e dovevi spingere e faticare e non procedevi e l’analogia e` talmente forte che ti sembra di sentire persino l’odore della neve o lo scricchiolio della tavola e ti viene da urlare. Ma mentre sali la sabbia ti entra negli occhi e nelle orecchie, la puzza di zolfo ti toglie il respiro, i polpacci e le ginocchia si stanno rompendo, ma non ti interessa perche` l’unica cosa che conta al mondo e` raggiungere quel cratere per vedere l’alba di un nuovo giorno e un nuovo te. Perche` pensi che manchino una, due orette al massimo quando incontri una coppia di inglesi che scende dicendo “noi non possiamo affrontare altre quattro ore cosi`”, e maledetta sia la parola four, e maledetto tutto quello che ti passa per la testa. E sali, un piede dietro l’altro, una mano dietro l’altra, come ormai ha iniziato a fare anche la tua guida, che ti dice che non aveva mai incontrato delle condizioni cosi` avverse. Engai non ti vuole sulla sua montagna, ma tu ce la farai comunque, con Chicago dei CSN&Y che ti entra nelle orecchie chissa` da dove. E se fai cadere un sasso dietro di te lo senti rotolare per due, tre minuti, in un silenzio assoluto rotto soltanto dal fragore del vento, e pensi che dev’essere brutto essere quel sasso. Talvolta si alza cosi` forte che non puoi camminare, devi accucciarti e aspettare, sperare che smetta o perlomeno si calmi; ad un certo punto e` cosi` forte che inizia a sollevare non solo la sabbia, ma proprio I sassi, grandi come unghie, che ti piovono addosso come grandine, ma l’unica cosa che puoi fare e` girarti di schiena e prenderli tutti sullo zaino, con le mani sulla nuca per paura di qualcosa che in quel momento potresti anche chiamare frana. Ma poi, dopo giorni,r aggiungi le luci che vedevate davanti a voi fin dalla partenza, un bianco e la sua guida. Faccia da italiano, inglesaccio da italiano. Poco male, si scala insieme, le scarpe, il naso, gli occhi pieni di sabbia che nemmeno te ne accorgi. Manca poco, un’ora, forse meno, ma non conviene arrivare al cratere troppo in fretta, li` il vento e` piu` forte e il freddo piu` intenso. Collassi addosso alla parete, coperta di un intonaco naturale che si sgretola al contatto e ti inzozza di gesso la giacca, ma non ti importa perche` vuoi solo farti il piu` piccolo possibile per non sprecare un solo grammo di calore e di energia. In un secondo sono le cinque, dovete partire, davanti la tua guida, il tuo compagno maasai, tu, la guida del bianco e il bianco stesso, comitiva di muti e sordi ansimanti di fiatone, come quel quadro con i ciechi che cadono nel fossato, pensi. E la tua mente ti canta Any time at all dei Beatles, e nemmeno ti frega che sia terribilmente decontestualizzata. Si vede, per la miseria, si vede dove la montagna finisce! Alzi lo sguardo, dalla cima del cratere parte una stella cadente, come un fuoco d’artificio, un segnale che ti avvisi che non e` che la natura ti odi, semplicemente gli stai indifferente; ma quel meteorite e` uscito proprio dal cratere, si e` fatto mezza via lattea, e tu trovi la forza di stirare le labbra, tagliate e insabbiate, per almeno cinque o sei metri. Perche`, poi, raggiungi l’altro versante strisciando sulle rocce, ma il cratere vero e proprio e` ancora piu` in su, a una ventina di metri. Che ti frega, ce l’hai fatta, sei sulla cima di questa dannata montagna e ti guardi intorno, ed e` questo il mondo. Arranchi verso il cratere, e questo e` il punto piu` ripido di tutti, e piu` sabbioso, e piu` scosceso; e se cadessi adesso arriveresti direttamente al tuo furgoncino, guardalo la`, con le prime luci del giorno riesci a intravedere la macchia bianca in mezzo alla savana, santo cielo quanto e` lontano, quanto e` piccolo, e quanto e` piccolo l’uomo, ed insignificante. Mentre il cratere e` enorme, perche` ce l’hai fatta, sei su questo maledetto cratere, e scoppi di gioia, guardi la lava nera che ribolle nelle pozze sul fondo, lava tra la piu` fredda del mondo, e fai il giro per raggiungere il lato est. Non ti accorgi di non avere le ginocchia, o di odorare solo zolfo, o di avere i jeans ormai grigiomarroni, ti accorgi solo di quanto e` rosso quel sole, di quanto va veloce. Hai scalato questa montagna, hai visto l’alba, sei capace di tutto, perche` le difficolta` non le affronti, le polverizzi. E supererai anche quella che si prospetta piu` dura, ce la farai, sei sul cratere piu` alto del mondo, hai compiuto la scalata piu` difficile e lunga della storia, e poco importa se non e` vero. L’ombra della montagna e` un triangolo perfetto che si staglia sulla pianura sottostante. Ma devi scendere in fretta, prima che diventi troppo caldo. Senti che sara` fastidioso scendere, che le rocce sono ancora scivolose, per di piu`, infastidite dalla recente sconfitta, vogliono fartela pagare a suon di sbucciature, e devi di nuovo usare le mani e la cautela e fare attenzione perche` quel sasso non e` stabile attento proprio quello su cui ti sei appena appoggiato! Ma basta sederti e ricominciare di nuovo. Finisce il ghiaione, ricomincia il mare di sabbia, questa dannata spiaggia verticale. Diamine, hai scalato l’Oldoinyo Lengai in una serata d’inferno, hai pur voglia di divertirti! E quindi iniziate a sciare sulla sabbia, mezzo pattinando e mezzo cercando di frenare, e il polverone che si solleva davanti a te odora di, ci metti un bel po’ a riconoscerlo, latte fresco e vittoria. Arrivi a meta` del vulcano, puoi togliere la giacca, mangi le tre uova sode che ti spettano, ma sanno pure loro di zolfo, chissa` se e` perche` sono cattive o perche` il tuo olfatto e` compromesso del tutto. Uno, per di piu`, scappa dal sacchetto cercando la liberta` verso il basso, e lo troverai in seguito quasi quattrocento metri piu` in basso, liberandolo definitivamente con un lancio e un Hi egg urlato e riso da te e da Amico. Comunque aspetti il bianco e la sua guida, che non sapevano sciare, e ci conversi in inglese, Da dove vieni, Italy, Quale citta`, Milan, e tu, e ti vien voglia di proporre qualcosa di esotico, Canada, South Africa, Brasile, ma non ti va di mentire e provi con Try to guess. Con tuo sommo piacere si gira prima tutta l’Europa del nord, ma si arrende, e confidandogli un segreto gli riveli BG, ma lo implori di continuare a conversare in inglese. E lo ottieni, perche` era una brava persona, con la moglie di Serina e, anche lui, l’esterofilia. Ti giri, la montagna e` altissima e superba, quasi negasse di essere stata sconfitta. Speravi ti lasciasse andare cosi`? macche`, una bella tromba d’aria piena di sabbia vi colpisce in pieno, e devi fermarti con la keffiah sul volto e gli occhi chiusi prima di poter continuare. Cinque, quattro, trecento metri al vain. Vedi perfino Michael che ti urla Com’e` andata. Togli le scarpe, lo spazio che di solito e` occupato dall’aria tra il piede e il tessuto e` composto da sabbia, i calzini sono lacerati. Ti siedi, ti addormenti, raggiungi il campeggio, scendi dal vain, ti addormenti di nuovo, ti svegli. E` ora di colazione, la tua avventura e` finita.
Mangiamo, divoriamo, pane e burro d’arachidi con chai al latte, poi dei pomodori. Mi. cucina (mi rifiuto di indagare come) degli spaghetti, ma decido di provarli. Per la miseria, non solo sono cotti giusti, ma sono pure buoni! Sono dolci e non so perche`, ma riempiono lo stomaco e non sono previste soste sul ritorno. Durante il viaggio mi sveglio poche volte, prima all’ultimo villaggio che avevamo attraversato, per fare benzina e riempire il bidone dell’acqua; poi, all’uscita dal parco, dove pretendono ventimila lire (ma spacciandomi per diciassettenne ne paghiamo solo sei, per fortuna l’ignoranza della fisionomia delle eta` e` reciproca tra africani e wazungu). Qualche scossone lungo la strada, dei wallybeast, tanti bambini maasai che ci chiedono gare, gare! [acqua, acqua!], la pianura piena di trombe d’aria. A quel cancello in fondo alla strada ci chiederanno dieci dollari per ogni bianco, quindi mi sepellisco sul fondo del vain con addosso una shuka e qualche zaino. Per due volte. Dopo il secondo io e Amico scendiamo e camminiamo per un chilometro, mentre il vain torna indietro per scaricare maasai3 al posto di blocco. Al suo ritorno trovo un nuovo ospite nel furgoncino, che scende al paesino dopo la fine della rift valley insieme a maasai2, il quale vuole ventimila lire per averci portato fino al vulcano –e ci siamo pure persi, che diamine! Pero` almeno mi lascia una collana che il giorno prima voleva farmi pagare, con un dente di leone (e questo parrebbe vero). Resto con diecimila lire e cinquanta dollari. Con gli scellini facciamo benzina, carichiamo una donna e un ragazzo, ripartiamo. Questa volta facciamo una strada piu` breve per tornare, ma ne perdo lo stesso una buona parte perche` dormo. Tant’e` che quando mi sveglio perche` e` finita la benzina ero convinto che fossimo nei pressi della cittadina e che bastasse tornare indietro di poche centinaia di metri. Ma in realta` siamo quasi in vista di Arusha e sono le sei meno un quarto, il che vuol dire che ho dormito per quasi cinque ore di fila. Con una colletta tiriamo su cinque mila (elfu tano) scellini, Mi. autostoppa fino al primo benzinaio e torna indietro. Ma non bastano nemmeno a raggiungerlo, perche` ci fermiamo di nuovo a un kilometro da questo benzinaio. Questa volta ci andiamo a piedi (io e Mi.), e a malincuore cambio i cinquanta dollari che speravo di aver salvato nel bar del benzinaio, perdendoci solo diecimila lire rispetto ai cambiavalute cittadini, sessantamila invece che settanta. Quindici di questi vanno subito nel serbatoio, altri venti a Marco2 come pattuito. Anche Marco1 insiste nel ricevere la stessa somma. Sono stanco, puzzo come un cadavere in una fogna e ho piu` polvere che pelle; l’ultima cosa che mi va e` mettermi a discutere con un poveraccio (ho visto dove abitava e non era propriamente una reggia) sul dargli o meno dieci euro, e glieli do`. Ho speso tantissimo in questi giorni. A casa, finalmente… chiamo i miei per fargli sapere che sono ancora vivo, mi infilo sotto la doccia (fortunatamente calda) e poi nel letto. Finisco, mancandomi poche pagine, Una questione privata di Fenoglio [meraviglioso, uno dei piu` bei libri sui partigiani che abbia mai letto, ed e` bravissimo a farti capire le sensazioni di Milton]. Sono le nove e qualcosa. Mi sveglio alle dieci e qualcosa –di mattina. Colazione, poi vado al centro dove aspetto Mi. e Brian e scrivo le parole che avete letto all’inizio. Poi, arrivati da un giro che dovevano fare, chiedo loro di accompagnarmi a comprare un po` di cose di cui ho bisogno. Per tremila lire mi prendo un ananas, un avocado, sette pomodori e diciassette bananine. Ah, tornato alla civilta’! E` lunedi`, e si allena la squadra di acrobatica; ci insegniamo a vicenda esercizi o cose simili, ma si vede che sono proprio incapace di fare l’equilibrista. Tuttavia mi stupisco di riuscire a fare un bel po` di sollevamenti, anche se le mie gambe non sono piu` di carne ma qualcosa di simile alla ghisa. La sera arriva prestissimo, e l’elettricita` va via –di solito succede al martedi` e al venerdi`, poco male, vuol dire che scrivero` domani (oggi). Anna mi regala un po` di polenta e due pescetti fritti per cena, dicendo che ha capito che ho uno stomaco africano. Attacco Uno, nessuno e centomila e ne supero la meta`. Chi ha bisogno della tecnologia, mi chiedo prima di addormentarmi..
Stamattina sistemo un po` la casa, trovo il problema della lavatrice ma non quello della macchina fotografica, che ha preso troppa polvere e non vuole piu` aprirsi. Al centro la connessione mi lascia il tempo di leggere un paio di mail che mi fanno un sacco piacere prima di cadere del tutto. Il programma consiste nell’andare a comprare la legna per costruire una banda (cuccia in swahili) per il cucciolo del centro (che io ho soprannominato, con una mancanza di inventiva che un po` mi ha stupito, Cane [mentre cane in swahili si dice mbua)], ma Mi. passa la mattina a lavare il vain sudicio, ed io a chiaccherare con Anna dell’africa, del mio paese, di cose importanti e di cose no. Iniziano ad arrivare i ragazzi, e per fortuna scelgono un gioco in cui a turni bisogna stare a bordocampo a guardare –altrimenti sarei morto. Sono troppo vecchio per queste cose, non ho mica piu` diciottanni io!. Momento settimanale di lettura della bibbia, esco un secondo e trovo Mi. che chiacchera con Alex, il suo amico con il quale abbiamo pranzato giovedi`. Completamente fuori di testa, e` simpatico e parla un ottimo inglese. Io e Mi. rientriamo per la fine di Marko kumi na tano, saba. Cantano una canzone, merenda. Vado a casa per scrivere tutto questo e cenare, ora sono le nove ma non so se lo faro`, mi sento ancora stanco. Domani dovremmo costruire la cuccia.
P.s. ho anche telefonato a Sambuka, confermato Nairobi questo venerdi`
P.p.s. ho sentito, inoltre, Mario; purtroppo staremo insieme solo una decina di giorni, per impegni vari.
P.p.p.s. Perdonatemi la prolissita` e, soprattutto, la confusione della descrizione della scalata, ma ero in vena di sperimentalismi. Non lo faccio piu`, promesso!
Ale
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mamma mia, che resoconto.
RispondiEliminainizio il lavoro con più di un'ora di ritardo, non potevo staccarmi dal video.
non so neppure se ora posso tornare al lavoro. sono stanca, coperta di polvere, assetata, le spalle bruciate dal sole e non capisco una parola di questa strana lingua che sento parlare.
ma temo che il principale non creda a una sola parola.
beh, sempre più grande mzungu, complimenti. per la tenacia e la fatica e il coraggio. e, perchè no, anche per le sperimentazioni di scrittura. continua così, non fermarti mai e soprattutto non farti fermare mai.
a big kiss paleface
p.s.fortuna che non credo alle tue promesse
p.p.s. certo che se la tua mamma non migliore del mondo avesse saputo quant'è pericolosa la scalata dell’Oldoinyo Lengai mica ti avrebbe lasciato salire...
ho pensato la stessa cosa "per fortuna l'ha saputo dopo, raccontato da lui medesimo!!"
RispondiEliminae, mi ripeto: che invidiaaaaaaaaaaaaaaa ( anche per le gambe)
sei responsabile dei nostri ritardi, ma per tre mangialibri come noi sono bellissimi ritardi ( gli altri, quelli che non usano gli occhi per leggere non possono capire)
grazie per uil bellissimo racconto, saluta per me MARCo 1, 2,3.... e a te un bacione
O.O Incredibile...non sono riuscito a staccare gli occhi dal video...
RispondiEliminaAmmiro tantissimo la tua tenacia,direi che sei nato per sperimentare lo sperimentabile...ora puoi fare qualunque cosa.
All'inizio avevo l'impressione di ritrovarmi nel paesaggio del Re Leone,poi ho iniziato sempre di più a vederti,piccoli piccolo,minuscolo sull'Oldoinyo Lengai,affaticato,in mezzo ad una cortina di polvere..
Non so davvero cosa pensare,strabliante ciò che hai fatto...
P.S. Chissà che muscoli che ti saranno venuti XD
P.P.S. Son completamente restato di stucco....
non ho parole...
acci…..
RispondiEliminasappiamo che “ci tocca” aspettare ancora 2-3 giorni al rientro ad arusha.
sappiamo che ci vorrà del tempo prima che tu finisca di riportare la cronaca di tutti quei giorni
sappiamo che verremo ricompensati con uno spiraglio sul kenia vissuto “non da mzungu”
gia, lo sappiamo.
ma, acci, è duro aprire tatonzania e non trovare niente di nuovo...
Kwa heri mzungu (habari gani? nzuri sana?)
carissimo Tato complimenti per la tua bravura nel descrivere tutto ciò che vedi e percepisci durante il tuo viaggio...mi fai rivivere i momenti trascorsi parecchi anni fà in kenya..quando sono tornata avevo il mal d'Africa...ma chi sarà questa fantasma che non conosco?...non è colpa del Lariam..ne della stanchezza...finalmente sono riuscita a scriverti due righe..1 abbraccio affettuoso buona continuazione da fully olly e company bacioni bianchi..purtroppo!!
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